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TANTA ROBA - IV Domenica di Quaresima (Anno B)

La Storia della Salvezza che ci viene narrata nelle Scritture è come se procedesse per fasi cicliche nelle quali Dio è sempre proteso a stringere Alleanza con l’uomo, sceglie il suo popolo; ma dopo il fervore iniziale, il popolo decide di non ascoltare più e di fare di testa propria, infrange il patto con Dio, si allontana da Lui, perverte la propria umanità, quasi preferisca le tenebre alla luce, i falsi dei al vero Dio… e a questo punto le viscere di misericordia del Signore si smuovono nei confronti dei figli che non riescono a vivere la vita nel bene, e così, anziché chiudere i ponti, suscita qualche uomo che possa traghettare al bene e diventare “bocca di Dio”, un profeta, un collaboratore della giusta causa, e concede una nuova possibilità che diventa Alleanza Nuova che re-immette nella salvezza… In alcuni momenti della storia del popolo di Israele, questo meccanismo è costato parecchio… pensiamo all’esilio di Babilonia a cui fa riferimento la prima lettura e che diventa una situazione paradigmatica e simbolica dei nostri cammini. Ecco forse come non mai possiamo capire il popolo di Israele; in quest’anno di Pandemia nel quale ci siamo anche noi sentiti un po’ in Esilio, stranieri nella propria terra, terra che quasi non ci appartiene più nella libertà dei confini e dei movimenti. E come il salmista ci ha fatto pregare, anche a noi - forse - verrebbe voglia di appendere gli strumenti della gioia e della preghiera ai salici piangenti - altro che domenica in Laetare - sembra non ci sia niente per cui far festa…

Ma il Signore ci vuole ricordare di non arrenderci alla situazione puntuale di Esilio, di non smettere di sperare. Il deserto, l’esilio, per quanto faticosi e dolorosi, sono solo una tappa del cammino, non la meta… Verrà il momento nel quale magari per via misteriosa come per la mano di un uomo straniero e pagano, come Ciro, terminerà l’esilio, si tornerà a casa e si ricostruirà il Tempio a partire proprio dal materiale nuovo e prezioso maturato nel tempo della prova: la santa nostalgia di casa, di normalità, e una consapevolezza nuova. Anche l’episodio a cui si fa riferimento, che vede il popolo morire perché morso da serpenti velenosi, non è certo una pagina allegra. Ma anche allora attraverso Mosè i figli vengono riabilitati proprio a partire dal quel guardare in faccia alla stessa causa del loro dolore, delle loro paure: un serpente innalzato… Da un serpente è arrivata la morte, da un serpente innalzato su un asta di rame arriverà la salvezza, immagine di quel perfetto e prezioso sacrificio nel sangue di Gesù, che sarà innalzato sulla Croce. Da Adamo il peccato, dal Nuovo Adamo la salvezza. La lettera agli Efesini ci ricorda infatti che Cristo è venuto a liberarci dalla morte, che rimane il più difficile esilio. Ogni volta che ci sentiamo dentro situazioni di morte, dobbiamo ritornare a questa certezza: da morti che eravamo, Cristo ci ha riportato alla vita! Cristo non è un incantatore di serpenti ma Colui che prende su di sé la morte perché non diventi la meta dell’uomo, ma resti una tappa del cammino, chiamata ad evolversi in quella successiva della risurrezione.

La vita del fedele richiede continuamente questo santo andi-rivieni: esilio e ritorno, caduta e rialzata, luci ed ombre… affrontando, per come si può, le proprie paure, così come fa Nicodemo, di notte. E il viaggio ne vale la pena: Nicodemo scoprirà che tutte le Summae teologiche della terra possono essere ricapitolate in questo passaggio: “Dio ama molto!”. Ed è talmente tanto il suo amore, da poter permettersi di amare “a fondo perduto”, gratuitamente, tanto da continuare a spargere i semi su ogni terreno che incontra… come il seminatore della parabola. Oggi quel terreno sei tu.

Per questo l’abbondante Dio, ci può amare fino “alla fine”, e diventare garanzia che non lascerà un “lavoro” a metà: porterà a compimento ciò che ha iniziato in noi, fino alla fine, non solo nel senso del suo ultimo istante di vita terrena, ma fino agli estremi confini dove l’amore può spingersi. Da qui si apre la nostra patita a scacchi con la libertà… che nel contesto evangelico prende il nome di fede. C’è un dono, che è “tanto amore”, “tanta roba”, lo accogliamo oppure no? Quest’accoglienza rimane l’unica condizione per vedere la gloria di Dio e farne parte… In questa Quaresima-quarantena non mandiamo in Esilio lo Spirito Santo, valido alleato per sigillare un’alleanza nuova.

 
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». (Gv 3,14-21)
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