LO SPIRITO RIMANE - II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
Ritroviamo nella liturgia di questa domenica, la figura di Giovanni il Battista, colui che semplicemente si definiva “una voce” che nel deserto gridava, annunciava, e preparava la Via per il Messia. La voce, per la Sacra Scrittura non è una cosa banale, e non è poca cosa per la storia della santa famiglia. Ricorderete tutti di quando Elisabetta, mamma di Giovanni, dirà che non appena la voce della cugina Maria, madre di Gesù, la raggiunse, il suo grembo sussultò di gioia, e quel bambino era proprio Giovanni. Giovanni che ha ricevuto una “scarica di vita buona” all’udire quella voce piena di Spirito Santo, gravida di un lieto annuncio, sente che la sua VOCAzione è restituire di voce in voce quel grido capace di preparare la strada al Salvatore, al Liberatore.
Nell’episodio odierno non si racconta di chissà quale dialogo tra Gesù e Giovanni; è bastato semplicemente il segno dello Spirito Santo, che non è solo il segno della colomba, ma quella “voce dentro” che fa comprendere che in quell’uomo di Nazareth, si trovava il compimento di tutte le antiche promesse, di tutta la parola profetica. Gesù stesso dirà ai giudei “le Scritture danno testimonianza di me” (Gv 5,39). E ora Giovanni dà risonanza di questa intuizione diventandone il testimone umile.
Come si riconosce il segno dello Spirito? Certo, se lego la mia fede semplicemente a ciò che passa, di colombe ne volano tante e così di cose strane ne capitano molte, e di conseguenza la fede vacillerà ed oscillerà in base agli eventi, perché tutto passa e cambia velocemente nella vita, come le circostanze e le emozioni… Oggi ci viene ricordato che lo Spirito “rimane”, “lo Spirito rimase su di Lui”, e rimane tra di noi a dare testimonianza fino alla fine dei tempi, fino agli estremi confini della terra… perché possa trovare “grembo”, “albergo”, “famiglia” in noi e noi possiamo “rimanere” saldi nel bene. E lo Spirito rimane quando la speranza vacilla ma io continuo a sperare contro ogni speranza, quando l’evidenza smentisce le mie attese e aspettative e io continuo a credere, quando non ho più parole e mi rimane la Sua Parola che mi fa dire “io solo credo e continuo ad avere fede”… allora vorrà dire che lo spirito è rimasto, tangibile come un luogo certo che posso indicare con un dito, proprio come ha fatto Giovanni. Il Signore non ha chiuso i cieli, il Signore non ha ritirato il suo dono!
Il testimone è vita in concordanza con se stessa, accordata alla Parola, obbediente; il testimone è colui che ha visto, sentito, ed è cambiato in base all’esperienza fatta. “Un’esperienza con esperienza"… faccio esperienza della Parola e quella Parola deve rimandare all’esperienza della vita. La fede nasce dall’ascolto per poi sfociare nella “parola” del servizio, nell’opera della carità, nell’amore… solo così testimoniare diventerà attestare la verità di sé, di Dio, degli altri e della realtà, e tutto questo insieme. La menzogna, l’incoerenza, invece sono le prime contro-testimonianze. Giovanni è questo accordo, che sa essere basso o acuto, dolce o duro, al momento opportuno, fino a pagare con la vita, capace di traghettare generosamente e gioiosamente i suoi discepoli a Gesù, l’agnello di Dio che vince il male, portando su di sé il peccato del mondo. E l’agnello, lo sappiamo bene, rimanda alla Pasqua, ricorda la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, quello che i nostri padri mangiarono in fretta… per iniziare il cammino della libertà.
L’agnello, il più piccolo del gregge, che vuole crescere con noi e in mezzo a noi, e che possiamo riconoscere guardando ai frutti del suo pascolare: “guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecora, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete” (Mt 7,15-16). Da quei frutti personali e comunitari, Giovanni, riconosce e attesta il Messia delle genti! Al suo passaggio Gesù beneficava, sanava e liberava, era nuovo Mosè, nuovo Davide, il nuovo servo cantato da Isaia, il nuovo Adamo, che toglie il peccato dal cuore dell’uomo, e che come l’agnello Pasquale, dà la forze per camminare verso la libertà, verso una nuova regalità, verso un nuovo senso della prova e della sofferenza, verso una nuova umanità.
Quell’oggi, risuonato così solennemente nella liturgia del Natale, diventa ora per noi: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che avete ascoltato”, perché nel Cristo il tempo passato è assunto nell’Eterno Presente e per noi, oggi, si apre una vita nuova, con la possibilità di essere e diventare anche noi testimoni di un amore che supera, in altezza, larghezza e profondità, i complicati “perché” dell’uomo, con la gloriosa leggerezza di un volo di colomba che ha le ali del cielo e della terra insieme.
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». (Gv 1,29-34)