L’INDIFFERENZA GENERA INFERNO - XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Non credo che il messaggio centrale del Vangelo di oggi sia la minuziosa descrizione dell’inferno … anche perché il Signore vuole figli che lo scelgano per amore e non per paura; inoltre per l’inferno non dobbiamo aspettare la morte: molte volte viviamo situazioni terribili già qui sulla terra. Ma la dinamica di questo brano, certo, ci fa capire che paradiso e inferno ce li costruiamo proprio a partire da come decidiamo di vivere i nostri giorni. Camminiamo verso una meta, e il cammino che decidiamo di percorrere per raggiungerla, non è indifferente. Il profeta Amos ha detto lapidariamente: “guai agli spensierati di Sion”, un ‘guai’ lanciato contro la superficialità del vivere, contro il qualunquismo e l’indifferenza. La superficialità è incompatibile con un Dio che ha scelto l’incarnazione, vivere a pelo d’acqua è incompatibile con un Dio che ha deciso di immergersi nella vita fin nelle midolla, fino a compromettersi totalmente. L'inferno non sarà allora la sentenza inaspettata e crudele di un giudice terribile, quanto piuttosto la lenta conseguenza delle nostre scelte “spensierate”, senza pensieri. Se per una coscienza formata alla luce del Cristo pensare è come pregare, di contro, una vita “spensierata” può essere emblema di una vita senza Spirito, senza cuore, senza preghiera, tutte cose che spesso portano ad ignorare il comandamento “dell’amare il prossimo come se stessi”, e portano a prendere le distanze dagli altri. Più ci chiudiamo in noi stessi e interrompiamo le relazioni, le comunicazioni, più generiamo l’inferno, come ha fatto il ricco epulone, che ha fortificato quella distanza da Lazzaro pensando solo a se stesso. Riducendo il pensiero ad un solo pensiero: quello per sè. “Guai agli spensierati”. E così tutto preso dal suo mondo, interamente assorbito dal suo ego, dal suo cibo, dai suoi vestiti di porpora e lino finissimo, ha mortificato quella sensibilità umana nei confronti di chi lo aspettava alla sua porta, senza chiedere nulla.
Prima ancora che sulla Legge e sui comandamenti, lo sguardo di Gesù si posa su di una realtà profondamente umana o, in questo caso, disumana: l’indifferenza (!).
La scorsa domenica ci veniva detto: “fatevi degli amici con la disonesta ricchezza, perché quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne”… Ma il ricco Epulone, (ricco di tutto, ma senza un nome proprio!), questo non lo ha capito. E una volta arrivata la morte ciò che appariva e contava sulla terra è considerata realtà effimera, mentre quello che non veniva neppure visto, nasconde una realtà eterna, tanto da meritare l’accoglienza degli angeli.
Troviamo nel libro dei Proverbi “Chi opprime il povero offende colui che l'ha creato, ma chi ha pietà del bisognoso, lo onora”.
Il prossimo, gli altri, ci sono donati, affidati, perché li possiamo onorare, e onorare significa “avere occhi” per loro, rispettarli e vedere in loro l’immagine di Cristo. Mosè e i profeti, a cui fa riferimento il brano, sono voce di quel Dio che ha occhi per il suo popolo, che si identifica con il suo popolo, e con i poveri-Lazzaro sparsi nel mondo: “ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, l'avete fatto a me”. La Bibbia è chiara: “non puoi dire di amare Dio che non vedi, se non ami il fratello che vedi”, in questo caso il ricco epulone non vedeva neanche più Lazzaro, talmente intontito ed offuscato dai suoi beni. E la Parola si fa ancora più esplicita: “chi non ama è omicida” (1 Gv 3,15). La Sacra Scrittura è piena di storie nelle quali chi ha onorato il profeta, il servo del Signore, il povero, l’orfano, la vedova, è stato a sua volta benedetto ed onorato da Dio. Come a dire: chissà quanti miracoli e porte aperte sono racchiusi dentro a quelle persone che ancora dobbiamo onorare, o che abbiamo smesso di onorare!
Allora nessuno si senta così lontano da questa dinamica: Ricco Epulone-Lazzaro. Perché forse, anche se attenuta, è la stessa logica che magari stiamo vivendo nei confronti dei nostri genitori, che la parola ci chiede di onorare: magari con il ritagliarci del tempo per stare con loro, un piccolo regalo, una parola buona, un aiuto in casa… O è la stessa dinamica che possiamo vivere nei confronti del prossimo a noi più prossimo, nei confronti dei figli che non riusciamo ad ascoltare, dei poveri che incontriamo per strada, dell’amico che sta aspettando una telefonata da un pezzo, di quell’anziano che puoi onorare magari cominciando ad alzarti per farlo sedere sul pullman, della moglie o del marito che ha bisogno di quello sguardo amante che si è spento da un pezzo. L’onore, l’amore, non sono solo a parole! Ecco che non capiti anche a noi che, intontiti ed offuscati dai beni o dal metterci al centro del mondo per i nostri “mali”, ci dimentichiamo della porzione di popolo che ci è stata affidata. Se non impariamo qui il linguaggio dell’amore poi sarà troppo tardi, perché non è la morte che ce lo insegnerà, o che ci convertirà, ma la vita! Ecco perché dobbiamo amare il cammino quanto la meta. In un momento di silenzio scegliamo un gesto concreto per onorare quel povero Lazzaro che il Signore ha messo alla nostra porta.
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». (Lc 16,19-31)