VIAGGIO SCONOSCIUTO - XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
La prima lettura ci ha parlato di una delle notti più importanti per il popolo di Israele. E’ la notte della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, nella quale il buio viene squarciato da una colonna di fuoco che guida verso “un viaggio sconosciuto”. E’ lo stesso viaggio che ha compiuto padre Abramo lasciando Ur dei Caldei, lo stesso viaggio che dovrà intraprendere ogni uomo verso sé stesso per la conoscenza del suo vero io; il cammino verso l’altro uomo per cercare amicizia, amore, alleanza, lavoro, pace, casa. Allora, come dice il salmo 84, ”Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio”, perché si tratta del viaggio della vita, del viaggio per la libertà, che riguarda tutti, e conduce sempre attraverso un “percorso ignoto” da giocarsi giorno dopo giorno, tentazione dopo tentazione, occasione dopo ogni occasione. Quando invece abbiamo la supponenza di essere già liberi, e di conoscere già tutto: la meta, le tappe intermedie, i compagni di viaggio, i sentieri da prendere, il rischio è di essere troppo sicuri di sé e fare e farsi male… E ci si dimentica della colonna di fuoco e di quella di nubi, cioè della presenza, e delle indicazioni di Dio sul cammino. Ci viene ricordato che potremo percorrere i chilometri necessari, solo se accettiamo la confessione del viaggio “sconosciuto”, che chiama all’umiltà del pellegrino e del forestiero, condizione necessaria per aprirsi all’ascolto e all’obbedienza della sua Parola. Allora Egli stesso scenderà in marcia con noi e si frapporrà fra quel sole cocente e la terra, per tracciare con la sua ombra il giusto cammino… Quante volte la meta del viaggio della vita non si vede; Dio stesso non lo si vede, non lo si sente… la meta è buia come la notte, come lo è l’attesa del padrone della parabola del Vangelo, che sembra tardare troppo… e che sembra essersi dimenticato dei suoi servi… Solo se saremo capaci di tenere fisso lo sguardo della speranza, come ci ha insegnato la lettera agli Ebrei, su “ciò che non si vede” ancora (Eb 11,1)… saremo fedeli, perché la fede è “certezza di quello che non si vede"! L’errore da cui vuole metterci in guardia questa liturgia, è invece quello di riempire e saturare quell’assenza, quel vuoto, quella notte, occupandoci di tutt’altro, distaccandoci dalle indicazioni lasciate dal Padrone… “tanto non c’è, tanto è notte e nessuno mi vede, tanto sono solo, tanto Dio è assente"… Piccola parentesi: spesso purtroppo l’estate è vissuta come emblema della situazione descritta, come lo spazio dove prendersi qualche rivincita, luogo dove trasgredire un po’, tempo di evasione, ricerca di novità… mandiamo il padrone in ferie e ci sentiamo in diritto di prenderci le nostre ferie, di discostarci dalle consegne che ci ha lasciato. E la parabola mi faceva venire in mente a quando per le prime volte i genitori ci affidavano la casa, fosse per qualche ora o per qualche giorno, e poteva capitare di tutto. Al loro ritorno si potevano presentare due situazioni: una felice, quando magari decidevamo di far loro qualche sorpresa, magari pulire la nostra stanza, far trovare un mazzo di fiori, o cucinare qualcosa per loro, e una spiacevole: quando quella casa diventava lo scenario di una apocalisse, di una festa improvvisata con gli amici, dove si rompevano inavvertitamente vasi cinesi e regali di nozze così cari alla memoria, e cose di questo genere…
Il momento del rientro è sempre delicato… ma il problema grosso è pensare che quel momento non avverrà mai. Allora conviene vegliare e chiederci subito: “Come stiamo amministrando quello che Dio ha messo nelle nostre mani?” Egli, da adolescenti imprevedibili e immaturi, ci tratta come discepoli capaci ed intraprendenti e ci lascia le chiavi di casa… fino ad affidarci il mondo e gli uni agli altri, credendoci in grado di vivere quella comunione narrataci nella prima lettura: “condividere allo stesso modo successi e pericoli”. E allo stesso modo ci viene ribadito nel Vangelo “vendete ciò che avete e condividetelo”. La condivisione come tempo dell’attesa e la ricerca di “tesori inattaccabili in cielo”!
Altrimenti saremo pieni di cose ma disperati e depressi! E le parole con cui Gesù conclude invitano alla vigilanza ma non vogliono generare ansia, anzi: “non temere piccolo gregge …. io ho scelto proprio te!”; perché in questa notte non si tratterà di fare cose straordinarie, nella notte non si possono intraprendere chissà quali strade nuove… ma solo continuare a svolgere quel compito che ci è stato consegnato. Si tratta di tenere le lampade accese, desta la nostalgia del ritorno, per non cadere nell’errore di temere tutto quello che ci circonda e soprattutto l’ombra del volto dell’altro. Quei servi non sono abbandonati, non hanno perso il posto di lavoro, e il padrone, al ritorno con estrema delicatezza “busserà alla porta” (di casa sua!) e “vedendoli ancora all’opera”, si commuoverà. Allora li metterà al suo posto, e li servirà e li renderà ospiti d’onore, anzi, figli, eredi. Ecco se riusciremo a rimanere fedeli in questa impaziente attesa, legati a lui… prepariamoci ad una “primogenitura” senza inganno, e ad essere finalmente beati!
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più». (Lc 12,32-48)