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LA VITA VALE PIU’ DI UN COMANDAMENTO - XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Elia lancia il suo mantello sopra Eliseo … un modo per “passare” il testimone della sua missione, il suo spirito, le sue consegne… Direi che con tutto questo caldo, non si tratta proprio di una immagine avvincente… ma se andiamo a pescare il suo senso e valore simbolico, la rileggiamo come “il vestito” delle parole del salmista: “proteggimi o Dio, in te mi rifugio”… Tutti abbiamo bisogno di protezione e cerchiamo un porto sicuro… allora “Signore coprimi, guardami a destra e a sinistra, proteggimi davanti e dietro, avvolgimi con il tuo amore”… Nel suo famoso inno San Paolo dirà: “l’amore tutto copre!”, quasi a consegnarci l’immagine della carità come di una coperta, un mantello, che tutto avvolge. Un invito a non lasciarsi imporre la tunica dello schiavo, l’abito del solo legalismo e formalismo, a non lasciarsi mettere addosso la veste della moda, che spesso maschera l’identità… quanto piuttosto a cercare l’abito che aiuta a vestire e portare con ‘disinvoltura’, con ‘santità’, la nostra libertà, “non come pretesto per la carne”, ma come possibilità di scegliere in ogni situazione il bene e di servire gli altri. L’abito dice sempre uno stile. E tutta la Legge trova “il suo stile” in un solo precetto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Imparare ad essere ‘sotto il mantello di Elia’, il manto dell’amore, significa non vivere per noi stessi. Non vivere le nostre vocazioni, missioni, compiti e relazioni, semplicemente sotto la legge, il dovere, e l’abitudine, intesa come vuota ripetizione. La certezza non di avere alcuna certezza, è lo stile di chi, come il Figlio dell’uomo “non ha dove posare il capo”… ovvero: “uomo, anziché impiegare tutte le tue energie ad “accertarti”, o meglio, ad accasarti, a costruire casa, ricordati che sei chiamato a diventare casa per tutti… colui che quando entra in casa, fa la casa, portando speranza, la solidità di una roccia su cui aggrapparsi, la voce che testimonia che la vita merita essere vissuta, con il coraggio di albergare anche laddove non c’è posto o dove nessuno vuole andare, diventando custode di tutti quei non luoghi che la vita porta con sé”. Alla fine il messaggio di quel mantello, è riconducibile ad un'unica maglia: DECIDERSI PER DIO, SEGUIRE DIO, PORTARE IL SUO REGNO. Facile nelle sue premesse ma anche duro nella realizzazione, tanto da dover richiamare la croce… Nel vivere tutto questo, siamo chiamati a diventare persone come quella “tunica senza cucitura, tessuta tutto d’un pezzo da cima a fondo”, uomini e donne cioè che hanno il coraggio di SEGUIRE L’AMORE, CRISTO, e non il compromesso. Con la capacità di rendere “duro il volto”, quando necessario, nell’assumersi le responsabilità, le difficoltà, gli insuccessi e i fallimenti… senza scappare continuamente. E’ vero, questa terra rende il Figlio dell’uomo profugo e rifugiato! Ma se Cristo diventerà ‘rifugio’ e ‘roccaforte’ dell’uomo, allora anche quella Croce, avrà senso, quale figura sintetica delle decisioni responsabili e anche delle cose difficili da capire.

Il brano della prima lettura e del Vangelo, nel parlarci della chiamata e della sequela, presentano conclusioni molto diverse. Mentre Eliseo potrà congedarsi da casa, nel Vangelo troviamo una frase che sembra andare contro al quarto comandamento. A quel tale che ha il padre morto, Gesù dirà: “Lascia che i morti seppelliscano i morti”… Dietro quella esitazione, Gesù scorge non solo una mancanza di coraggio, ma una mancanza di fede! Perché in certe situazioni la cosa da fare è permettere a ciò che è morto di morire, senza rinchiuderci nei sepolcri della nostra storia, perdendoci l’oggi; occorre smetterla di guardarsi indietro, perché la vita vale più di un comandamento! E l’oggi più di ieri. In definitiva: se i legami ci legano fino a bloccarci, allora vuol dire che sono malati. Un legame sano lascia liberi. Eliseo infatti, mentre torna a casa, ha già bruciato in sacrificio il suo aratro, la sua vita di prima!

Insomma quella di cui ci ha parlato la liturgia di oggi è una sequela decisa! Ma attenzione… Giacomo e Giovanni sono così decisi, da sentirsi autorizzati a bruciare il nemico: “Vuoi che scenda un fuoco?!” La durezza, richiesta non è nei confronti degli altri, ma semmai di sé. Quante volte noi seguiamo Cristo, ma poi apriamo infiniti spazi di ambiguità, per tenere il piede in più scarpe, mille riserve, accampiamo mille scuse… E così anche famiglia, lavoro, amicizia, possono diventare un idolo che anziché portarci al centro della volontà di Cristo ci fanno fare i nostri comodi e costruire le nostre tane, perché vogliamo stendere noi il progetto per il meglio!

Questa tensione al meglio, non è errata, errato è non capire che il meglio è e rimane il Signore… Allora questo diventa il tempo favorevole, questa eucarestia il tempo della salvezza… SeguiamoLo, il resto lo capiremo, lo scopriremo... Lui non deluderà!

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