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CREPI L’AVARIZIA: RISORGA L’ABBONDANZA - Santissima Trinità (Anno C)

Celebriamo oggi la Santissima Trinità. Dovrebbe essere la festa della nostra identità, la festa cioè, che celebra la spiegazione migliore di chi è il Dio in cui crediamo: un Dio uno e trino.

Ma in realtà, a pelle, questa definizione, che incontra certo il favore moderno di volere fare la radiografia a tutto e di voler sinteticamente sapere e dire tutto, evitando ogni possibile sforzo; ecco in realtà sembra più allontanarci che avvicinarci a Dio, perché non è così facile radiografare il mistero di Dio, la sua comprensione o spiegazione.

Ci troviamo come dinanzi a quelle realtà che forse è più facile vivere e sperimentare che dire e spiegare. Infatti se dovessimo raccontare Dio ad un bambino, forse nessuno comincerebbe dalla Santissima Trinità… Questo da subito ci suggerisce che, se pur abbiamo bisogno di parole per spiegarci, Dio non lo si può racchiudere in un concetto astratto. E nel dire questo non facciamo un torto a nessuno. “Trinità” - lo sappiamo bene - è una parola che la Bibbia non contiene, mentre contiene e racconta molto bene di un Padre, di un Figlio e dello Spirito Santo, dicendoci fin da subito che il Dio Cristiano non è “avaro” ma sovrabbondante, e che non è solitudine ma relazione. La prima lettura, non a caso, ci ha consegnato l’immagine della Sapienza personificata, che nella Creazione “gioca con Dio sul globo terrestre ponendo le delizie tra i figli dell’uomo”.

E allora comprendiamo bene che uscire dal nostro “IO” sarà la via maestra per avvicinarci a quel Dio che ha voluto uscire da sé e lasciare nella nostra umanità l’immagine e la somiglianza del suo amore multiplo, trinitario, in circolo, in relazione. Forse è per questo che quando siamo in compagnia di chi ci vuole bene, quando amiamo e siamo amati, ci sembra di stare in paradiso!

Nell’incarnazione di Cristo, Dio, che già “aveva parlato in molti modi all’uomo” (cfr. Eb 1), è apparso come il Padre che dona tutto ciò che ha e ciò che è al Figlio: “Tutto quello che il Padre possiede è mio” (Gv 16,15).

E questo in una comunione articolata, che si sottrae alla semplice fusione. Ma che come ogni relazione mette in campo libertà e volontà: “ma la tua volontà sia fatta e non la mia”, “mio cibo è fare la volontà del Padre” divenendo una comunione fondata su di una “uguaglianza” che ammetta la differenza: “Come io e te siamo una cosa sola”. Ma è vietato il possesso geloso! E così il Figlio può donarsi totalmente perché si sente totalmente amato. Alla fine “Trinità” dice proprio questo: la pienezza e la sovrabbondanza dell’amore infinito. E ‘diventare amore’ è “la verità tutta intera”. Perché la verità più che una idea, è una relazione, più che un qualcosa da dire è il come lo si dice. Allora non c’è amore, e non c’è verità, laddove ognuno vive per sé, e cerca solo il proprio interesse, facendo diventare l’altro una semplice pedina di conferma.

E così la vita del TRE e UNO è il desiderio profondo che tutti portiamo nel cuore: cioè quello stare in comunione ed essere una cosa sola ma non soffocando o escludendo l’alterità, la differenza. Questo “terzo” non diventa l’intruso, ma anzi l’elemento che rende sana la relazione. Ecco perché la scrittura dirà che una corda a tre capi difficilmente si spezza. E questo vale anche per le nostre relazioni se avremo coraggio di far entrare Dio! Perché sebbene “l’altro” possa essere al contempo il grande dono e il gravoso compito, la gioia e il dolore perché magari rimanda ad una relazione segnata da tante ferite, difficoltà e fallimenti; il senso della vita è sempre all’interno dello spazio relazionale che abitiamo. Allora nonostante tutto, siamo chiamati ad essere degli invincibili e e incorreggibili credenti nei legami, ad immagine del Dio-trinitario; la questione è così centrale, che il caso contrario, potremmo dire così, è dichiarazione di ateismo! Non basto a me stesso e non mi salvo da solo!

Lo Spirito Santo ha il compito di “convincerci” di tutto questo annunciando “tutto ciò che avrà udito” e “le cose future”, non nel senso della preveggenza, quanto piuttosto quella capacità di saper guardare e vedere lontano, oltre il muro dei peccati, il confine dei limiti, l’argine delle situazioni avverse. Questi sono gli occhi della “virtù provata” di cui parlava la prima lettura. E la fede provata produce speranza, “una speranza che non delude”, perché non si tratta di un semplice pensiero positivo, quanto dell’amore di Dio riversato nei cuori! E l’amore di Dio non tradisce mai, non delude mai e può fare miracoli!

In un momento di silenzio riversiamo questo amore sulle nostre relazioni soprattutto quelle più difficili.


#Trinità #relazione #incarnazione #pienezza

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