SEMPREVERDE - Santa Pasqua (Anno C)
Riprendiamo il canto dell’Alleluia, perché il nostro Dio è vivo, fratelli!
E allora se siamo venuti qui semplicemente perché è domenica e perché almeno a Pasqua bisogna andare a messa noi stiamo ricollocando nella tomba il nostro Signore… perché il Dio che adoriamo è ben di più che una pratica, ben di più di un precetto, ben di più di una ‘eucaristia’… Allora non siamo ottusi nel farci ripetere: “perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Egli E’… risorto!”. Oggi celebriamo la festa della vita nella promessa più grande del Signore. E la vita “corre”, avanza solo se c’è una speranza che la rende possibile, che la motiva. E dopo le tante cadute, quelle di Gesù sotto la croce, quella dei discepoli nel tradimento e nella fuga dalla sua croce, quelle nostre nel peccato, è il momento di un’altra corsa, disperata e speranzosa al tempo stesso, quella al sepolcro… E’ una fatica necessaria. Nel tragitto risuoneranno i gesti del giovedì santo, le voci del venerdì santo, il silenzio del sabato, sarà impressa quell’immagine dell’uomo innalzato sotto il “lapsus pilatiano”. Pilato fa affiggere alla croce di Gesù il cartiglio con scritto “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” (Gv 19,20). L’intento è quello di continuare la presa in giro al Signore, ma egli pur inconsapevolmente, dice la verità, quella che forse sotto sotto ha ben intuito… Lì c’è un re, la regalità dell’amore che dà la vita per gli amici. E su quel Calvario, come recitava una preghiera, abbiamo sentito la voce di tre crocifissi, di crocifissi ne è pieno il mondo ma, uno è morto maledicendo, uno benedicendo e un’altro divenendo una benedizione per tutti quelli che lo avevano condotto al patibolo; uno morto da ostinato e chiuso, uno chiedendo perdono, un’altro donando perdono e giustificando quelli che non sapevano cosa stessero facendo. Tre ladri: uno ha rubato sulla terra, il secondo, con il suo pentimento, ha rubato il cielo, il terzo lasciandosi rubare la vita, ha rubato e strappato i prigionieri della terra, che erano senza salvezza.
Ma al mattino del giorno dopo si devono quasi dimenticare gli umori della sera prima… e non perché si è superficiali, ma perché il Signore fa nuove tutte le cose, e il tempo di Dio può portare cose inaudite! Anche se il desiderio di ricominciare deve affrontare ogni volta il combattimento e la tentazione di lasciare tutto, la resistenza che tanto “non ne vale la pena”, la tentazione magari di arrendersi ad una evidenza negativa, ecco ancora una volta, oggi, ci viene raccontata la Pasqua perché possiamo reagire e ricominciare: la morte è stata sconfitta, Allora la vita può sempre ricominciare! Ma spesso piuttosto che viverci la fatica del combattimento, e aprirci alla promessa di Dio, preferiamo cercare sepolcri e ci fermiamo lì.
Maria quando era ancora buio, cioè appena possibile(!), si mette in cammino… perché quando ami veramente non ti rassegni subito, ma ti metti a cercare, anche se è notte. Ma… non trova più nulla! Neppure un corpo da piangere. Almeno aveva - anche se brutta - una certezza, ora neppure più quella. Trova uno spazio vuoto. Il vuoto può essere il buco nero in cui precipitiamo ma nello stesso tempo può essere ciò che ci spinge a cercare ancora e ancora, magari in altra direzione. !
E poiché come dicono i neuroscienziati siamo strutturalmente aristotelici, cioè procediamo secondo lo schema di causa ed effetto, Maria dinanzi a quella tomba vuota dirà che gli uomini sono intervenuti, devono aver rubato; presa dall’ansia, dalla paura, dallo sconforto, non riesce subito, a mettere in conto l’azione di Dio (Oh..come non riconoscerci in questo!). Ma le parole degli angeli costringono ad abbandonare gli schematismi freddi, gelidi come pietra da sepolcro e che tante volte ci legano come bende di morte.
Maria lo scambierà per il giardiniere.. Dopo il lapsus “pilatiano”, è il “lapsus mariano” - ma anche lei ha ragione e ha intuito: è il giardiniere che ci insegna che il chicco, il seme, se non muore non produce frutto, è il giardiniere figlio di quel Dio vignaiolo che si occupa di vite e tralci e dell’albero che darà frutto a suo tempo. Sono passati tre giorni ed ecco il tempo nuovo… una coltura e cultura nuova: quella dell’albero della croce che porta frutti dopo tre giorni. La cultura dell’amore che svela l’audacia del sempreverde: “io vivo per sempre”… E se rimaniamo in Lui, siamo destinati a portare anche noi il frutto della vita eterna.
E allora pur mantenendo i piedi ben piantati su questa terra… «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù”, e non rimaniamo fermi alla nostra morte che è il peccato. La prima lettura ci diceva “Egli è giudice dei vivi e dei morti”… e l’ultima parola spetta sempre al giudice! Allora nelle sue mani rimettiamo tutto quello che stiamo vivendo e che vorremmo vivere, vivere da vivi, da Risorti, da sempreverdi.