VENDEMMIARE SCHEGGE DI TRAVE - VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
La Parola di questa domenica ci dice che il modo di ragionare è la cartina di tornasole dell’uomo, il suo banco di prova; ed ha lo stesso effetto del setaccio per il grano, ne fa affiorare la verità, i corpi esterni, mette in evidenza i difetti che lo caratterizzano. Allora ci domandiamo… ma quando uno si avvicina a noi, quali parole e pensieri raccoglie? Quale vendemmia fa? Perché “La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.
Tornano alla mente le parole della lettera ai Romani (Rm 12:2) “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente”. Siamo del mondo, amiamo il mondo, amiamo la via quanto la meta, ma non ragioniamo come il mondo… e questo semplicemente perché discepoli di Gesù, uomo controcorrente!… Siamo coloro che seguono gli insegnamenti, le parole, i passi del Maestro. Invece quando facciamo noi i maestri, spesso diventiamo dei ‘cacciatori seriali di travi’, diventando noi il mondo, noi il centro di tutto e dimenticando che i primi ad avere bisogno di collirio siamo proprio noi!!
Quante volte nei confronti degli altri ci comportiamo come le donne raccontateci dal vangelo che setacciano il grano: li ‘ribaltiamo come un calzino’, li scuotiamo ben bene, finché non riusciamo a far venire fuori tutti i difetti, tutti gli scarti… o come i vasai, sottoponiamo il prossimo alla prova di fuoco dei nostri controlli e continui giudizi, che spesso sono pregiudizi… Ma l’apostolo Giacomo (cfr. 1,26) ci ricorda che se non sappiamo mettere “un freno alla lingua la nostra religione è vana”, ci illudiamo di essere giusti e ci ritroviamo ciechi che guidando altri ciechi rischiando solo di farsi e fare del male. Ed è interessante il passaggio in cui si dice che “Il [nostro] peccato non se ne va perché [diciamo] di vedere”… Ci viene detto indirettamente che potremo liberarci del nostro fardello, del nostro peccato, solo a patto di prendere la piena consapevolezza della nostra povertà, solo quando come san Paolo che presumeva di vedere bene e lungo, accetteremo di avere le squame negli occhi, di non vedere così bene, e ci faremo i nostri “tre giorni di cecità” in dialogo con Anania…
Una delle parti più sensibili del nostro corpo, é proprio l’occhio, lo sappiamo bene perché basta l’intrusione di un niente, e il fastidio che ne proviamo è tanto! L’ipocrita ha nell’occhio addirittura una trave di legno, eppure non sente nulla!! Forse il problema risiede proprio qui: nell’insensibilità, che poi purtroppo spesso si propaga in tutto il resto, e si diventa persone ‘senza tatto’, ‘senza gusto’, ‘senza capacità di ascolto’…
si diventa “ciechi”, in questo senso, impermeabili alla realtà.
Con questa attitudine viviamo ora il momento dell’atto penitenziale volutamente tralasciato all’inizio. Mettiamo davanti al Signore tutta la nostra cecità:
–– Signore, nella nostra vita ci sono troppe parole inutili e tanti giudizi ingiusti. Signore pietà!
–– Cristo, spesso ci sembra che tutta la partita della vita si giochi qui sulla terra e ci manca la prospettiva del cielo, quella della comunione con te, Cristo pietà!
–– Signore, siamo ciechi senza il tuo insegnamento, senza la tua vita in noi, e troppo spesso pretendiamo di guidare gli altri, Signore pietà!
E utilizziamo a sigillo di questo momento di grazia, le parole della seconda lettura: “Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili”, - in questa misericordia del Padre - “Sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”.
Si fa fatica a perdonare? Quanta! Si fa fatica a rispondere al male con il bene? OOO certo! Si fa fatica a liberarci dal lievito vecchio di scribi e farisei, che dicono e non fanno, che giudicano e non cambiano, che appioppano pesi sulle spalle che loro non vogliono portare… Chiaro! Ma la fatica, fa parte della quotidianità dell’allenamento! Quella di Gesù allora diventa Parola di consolazione, capace di asciugare i nostri sudori…. “tutta questa fatica non è vana!”.
A te Mamma che ‘lotti con il figlio adolescente’, a te moglie o marito che lotti per tenere unita la famiglia, a te figlio che lotti per mantenere un dialogo con i genitori, a te amico che lotti per continuare a credere nella vera amicizia, a te credente che lotti per vincere la tua incredulità e sfiducia… il Signore dice “tutta questa fatica non è vana!”.
L’evangelista Luca per indicare la fatica vana, parla dell’infruttuosità dell’albero e usa, nella traduzione letterale, l’aggettivo “guasto, rotto”. Un frutto “guasto”, non è che abbia una origine diversa da quello buono, ma è ‘semplicemente’ un frutto che non è riuscito a maturare bene e cioè, non è riuscito a diventare pienamente se stesso, quello che doveva diventare! Occorre allora imparare a concedersi e a concedere agli altri il tempo della maturazione, tenendo ben presente che il successo di una vita dipenderà anche dai maestri che ciascuno di noi si sarà scelti lungo il cammino… maestri e non supplenti occasionali!
Che in questa eucarestia possiamo riconoscere e desiderare anzitutto Gesù come maestro e guida, e che Lui possa dare ai nostri cuori il desidero di avere accanto guide sapienti, e versare il sapore del Vangelo perché sappiamo avere occhi nuovi, parole di misericordia, capacità di portare frutti buoni nelle nostre realtà.