LA GIOIA È LA PALESTRA DI DIO - III Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
La prima lettura riporta un’espressione che è entrata nella liturgia e che caratterizza il saluto finale del sacerdote: “La gioia del Signore è la nostra forza”. Il nostro Dio è il “Dio della gioia ”! Colui che sa rallegrarsi per l’opera delle sue mani, o meglio potremmo dire per l’opera della Sua Parola! Egli è Colui che vede l’uomo è dice che è “cosa molto buona”, e che secondo Sofonia fa “capriole di gioia” quando il suo sguardo incontra il nostro passaggio… Per questo attraverso il profeta, ci viene rivolto l’invito a “non fare lutto” mentre si è in Sua presenza… Mentre si ascolta la parola del Signore, si banchetta (!), è momento in cui si condivide e si è lieti, perché non si è soli e non si è in balia del male, per questo al popolo di Israele sgorgano lacrime di gioia nel sentire della ricostruzione di Gerusalemme dopo l’esilio, e mentre ascolta, si commuove! Qualcosa si s-“muove” dentro. E la parola di Dio scuote, porta ai cuori che l’accolgono la forza necessaria per rialzarsi e riprendere il cammino… Quando sembra che la misura sia piena, e non ci sia più niente da fare, c’è ancora spazio per l’intervento di Dio, per il ritorno dall’esilio, e parafrasando il versetto della prima lettura, potremmo dirci: “Non c’è più unione? La comunione del Signore è la nostra forza! Quando non c’è più la speranza, il fatto che Egli creda ancora in noi e si fidi dell’uomo malgrado le sue brutture, è la nostra forza; quando non c’è più pace, la pace del Signore è la nostra forza… Perché siamo di Dio, e se è così ci apparteniamo un po’ gli uni gli altri e, se siamo nella sua bontà, in quella metafora che usa Paolo, la metafora del corpo, c’è una solidarietà tra tutte le diverse membra, anche tra quelle che sembrano meno importanti e meno degne. Occorre questa armonia per il funzionamento di tutto l’organismo, dove l’unico aspetto in cui è concesso competere e il “gareggiare” verso il carisma più grande: la carità, l’amore. Questo è il cuore, il sangue, il cervello di questo corpo, senza il quale, la vita è inevitabilmente compromessa. “Oggi” questa forza, questa comunione tra noi può compiersi davvero. L’avverbio “oggi” nel Vangelo, è sempre in relazione al compimento: ciò che nell’antico testamento era stato pronunciato dai profeti, si compie nelle parole che Gesù “oggi” pronuncia. Come quelle che rivolse a Zaccheo (Lc 19,9), al buon ladrone sulla croce (Lc 23,43), a Pietro (Lc 22,34). C’è una salvezza che si attua nell’incontro personale con Gesù, proprio grazie all’ascolto e all’accoglienza del Vangelo, e che ci raggiunge nelle giunture più profonde, persino nelle midolla dell’errore. Sentirsi amati così … commuove! La Scrittura non dice una cosa lontana, vecchia, passata, ma è per un “oggi”, per il mio oggi, per il nostro oggi… è allora sia Gesù “l’influencer” vero e autentico del mio presente. (L’influencer è quel testimonial che viene utilizzato per incrementare le vendite, per creare tendenze, per appunto ‘influenzare’ una moda, usi e costumi, il pensiero…) Ecco che noi possiamo riconoscere solo il testimonial-“TESTIMONE” per eccellenza, Cristo, nel farci “influenzare” l’oggi, e non dalle tante parole a vanvera… Dio CREA con la parola e da quel momento ci lascia un dono immenso: le nostre parole possono essere manifestazione di quella stessa potenza, e al contempo possono creare e distruggere… Scegliamo la via delle parole di vita, parole performative e NON parole di volgarità, cattiveria, morte, dove la parola è sminuita, svuotata, accorciata, tagliata… Quando Dio parla, la parola va ad effetto e torna la vita, anche quando corregge! Nella citazione di Isaia abbiamo trovato che il Signore ha una parola per tutti, in quell’elenco delle varie facce dell’uomo: il povero, il cieco, l’oppresso, il prigioniero, questi diventano i “tasselli” del volto di Dio, il suo programma prioritario per sguardi, pensieri e azioni… Il cristianesimo è proprio questa immensa e profonda liberazione, cura, dedizione… uno sperimentare che contro tutte le potenze del male, c’è a nostro favore la potenza di Cristo! Come a dichiarare: “Tenebre dovete vedervela con la luce di Cristo… Saette del male dovete penetrare lo scudo della fede di Cristo… (ecco ritornare l’armatura di cui parla il brano di Efesini 6 di cui rivestirci). Allora rivestiamoci di Cristo per poter avere ancora il gusto della festa ed essere capaci di banchettare con Dio stesso. Il Regno di Dio abita in un uomo che sa fare festa, un uomo libero, gioioso.