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FIGLIO MIO, TRADOTTO: FIGLIO SUO! - Festa della Santa Famiglia (Anno C)

Nel suo ultimo documento Papa Francesco ci ha ricordato l’universale chiamata alla santità: tutti chiamati a riscoprire questa vocazione nelle strade della vita di ogni giorno; e nella liturgia di questa domenica, dove ci è dato di guardare con particolare attenzione alla santa famiglia di Nazareth, possiamo celebrare proprio la famiglia come ‘via di santificazione’, come ‘mistero di Dio’: luogo dove si traduce la pienezza e l’abbondanza dell’amore del Signore. La Sacra Scrittura infatti non conosce categoria più alta e “teologica” per raccontare analogicamente l’amore di Dio per le sue creature.

Non a caso il rapporto uomo-donna è celebrato da noi come sacramento: segno particolare della grazia del Signore… Eppur sappiamo in che stato di sofferenza si trovi oggi la famiglia. Allora dobbiamo ancora una volta, intenderci bene, su quale sia la “santità” su cui ci fa riflettere la famiglia di Nazareth che, fra le altre cose, oggi ci viene descritta in una oggettiva difficoltà. Infatti al di là di quella visione romantica che vorrebbe eliminare per le cose dello spirito, le esperienze amare e drammatiche della vita, e che vorrebbe preservare almeno Maria, Gesù e Giuseppe, il Vangelo ci ha raccontato della gioia del natale a braccetto con il turbamento, e mai intende la santità come assenza di prove, assenza di errori e neppure nel farci volgere lo sguardo alla santa famiglia, vuole esaltare le particolari virtù eroiche dei singoli componenti della famiglia. Questa liturgia vuole prima di tutto ricordarci che il Natale è una storia di famiglia, e la famiglia il luogo dove Dio è all’opera! Inoltre vuole ricordarci che ci si può perdere Gesù per strada, e ancora, che giorno dopo giorno occorre rileggere e reinterpretare la Parola che Dio ci dona, chiederci quale sia la sua volontà, e metterci a cercarlo (!), non dandolo mai per scontato solo perché è nato… perché si è in pericolo quando si vuole fare di qualsiasi dono di amore, una storia solo/troppo, umana e privata. Maria e Giuseppe sono emblema di chi, pur senza aver capito tutto e subito, si mette nelle mani del Signore e gli dà credito, loro sanno ammettere di aver smarrito Gesù e da lì ripartono insieme, con la loro angoscia che comunque accolgono, e con fatica, allora non c’erano i cellulari e neppure il GPS, riprendono il cammino in direzione opposta (sanno cioè “convertirsi”)… e ritrovatolo si mettono alla scuola di Gesù-bambino. Mentre tutti sono stupiti di Lui per la scienza e la sapienza, Maria e Giuseppe sono stupiti fino alla comprensibile “rabbia” per quello che ha fatto. In questa che sembra una storia di ribellione e disobbedienza di Gesù, dove il figlio prende una strada diversa da quella dei genitori, emerge quel naturale tratto possessivo dell’amore dei genitori: “figlio, tu non puoi fare quello che vuoi!”. - La risposta decisa- “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”, come a dire: “cari mamma e papà questa capacità di sapersi mettere in ascolto di Dio e di porre domande, e di dare a Lui la priorità anche nell’assurdo, io l’ho imparata proprio da voi!”. Ma poi il testo prosegue e ci tranquillizza dicendoci che Gesù rimase sottomesso a Maria e Giuseppe, tanto che è come se perdessimo nuovamente le sue tracce non più al tempio di Gerusalemme ma nel villaggio di Nazareth, tra casa e bottega… per almeno altri vent’anni. Come a dire: rimango sottomesso volentieri a coloro che sono sottomessi e in obbedienza a Dio, al Padre mio.

Ecco in questo senso il figlio può essere la via per non dimenticare Dio, il suo dono e la sua iniziativa che previene, l’oltre che non so prevedere e contenere. Le prime due letture lo affermavano: ogni figlio è un Samuele - “richiesto a Dio” - e viene da Dio e appartiene a Colui che lo ha donato e non può che essere accolto come una realtà in continuo cambiamento. Anna saprà rinunciare al possesso del figlio, sfida aperta nel Vangelo fino ai giorni nostri, avendo capito che quel figlio sarà più “suo” nella misura in cui sarà completamente di Dio.

Alla luce della vicenda di Anna e della famiglia di Nazareth ci chiediamo: come saremo una famiglia santa? Da dove verrà una famiglia che funziona?… Certo le tecniche psicologiche e le strategie umane sono importanti e possono aiutare, ma… La salvezza viene da Dio! Cioè da quell’avere il coraggio di essere sottomessi al Signore…

Per vivere la gioia della santità, la famiglia non si dovrà mai dimenticare di questa fondamentale reciproca appartenenza a Dio. E da questo impariamo Padri e madri e figli a obbedire al Signore e a sottometterci a Lui, questo un possibile senso di quel biblico “riportare il cuore dei padri verso i figli e quello dei figli ai padri”… mettendoci cioè insieme sotto la volontà, la benedizione, la cura e la grazia del Signore che vive e regna nei secoli dei secoli…


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