COME CI CHI-AMA DIO - XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
La liturgia di questa domenica nel raccontarci della nascita di Giovanni Battista, il figlio del miracolo, il figlio di due anziani sterili, ci ricorda di non misurare il possibile e l’impossibile delle cose, a partire dai soli dati sensibili, dall’apparenza, dai soli segni e prove accumulate nella propria esperienza… La vita è anche molto di più di questo! La vita deve imparare ad accettare il trascendente, dobbiamo imparare a contare su Dio, a fare spazio alla sua Parola e alla sua azione quotidiana e anche e soprattutto alle sue Promesse! Fino a quando non si accoglierà questa sfida, si rimarrà vecchi e sterili, al di là dei dati anagrafici o biologici, o comunque bloccati ed ancorati a questi che saranno sentenza e mannaia sul possibile domani.
La realtà di quello che siamo molto dipende dalle parole che il Signore ancora vorrà darci fino alla canizie avanzata, come per Zaccaria ed Elisabetta che ormai erano per tutti vecchi, sterili, stanchi… finiti, per tutti ma non per Dio. La fede ci fa dire con il salmista “Signore insegnami a contare i miei giorni, con te Signore i miei giorni sono ancora”!
Se non ci si apre alla novità di Dio e si lascia parlare solo il déjà-vu, il già visto, il già vissuto, il passato, convinti che le cose grandi e importanti siano ormai già avvenute e concluse, c’è il rischio di diventare muti come Zaccaria: cioè la vita non avrà più niente da dire… Si adombrerà quel tratto profetico e sacerdotale che ogni vita cristiana ha in sé, in virtù del battesimo; c’è il rischio di diventare grembo sterile come quello di Elisabetta… E così paradossalmente Zaccaria rischia di rifiutare il dono stesso per cui aveva tanto pregato! Perché sotto sotto in quanto ‘sacerdote’ doveva fare quella preghiera, ma in realtà era il primo a crederci poco… Non c’è nulla di più triste di una fede senza speranza: Zaccaria pur trovandosi quotidianamente alla presenza del sacro, vive la religiosità come una ritualità vuota, come un ruolo…
Si racconta di quel sacerdote che nel bel mezzo della tempesta, grandine, fulmini che si abbatterono sulla chiesa durante la celebrazione eucaristica disse: “interrompiamo un attimo la messa e mettiamoci a pregare perché si fermi il nubifragio…” Ma non stavano già pregando?!!?
A. Einstein diceva: “è più facile per un uomo spezzare l’atomo che ciò in cui crede” … e questo nel bene e nel male, e cioè se tu credi che una cosa sia impossibile, difficilmente si realizzerà. Spesso non otteniamo perché neppure chiediamo più! Non vediamo il cambiamento perché non ci crediamo fino in fondo! E non è questo un ragionamento che ha a che fare con il pensiero positivo e l’auto-convincimento ma con la fede nel Dio dell’impossibile narrato nella Bibbia, nel Dio vivo dei Padri !
“Giovanni sarà il suo nome”, che significa “Dio fa grazia”, “Dio usa misericordia”, “Dio è dono”! Spesso diciamo che emblema di una vita adulta e matura è il saper chiamare le cose con il proprio nome, imparare a dare un nome a quanto ci capita. Zaccaria ci insegna oggi che il segreto per una vita e una parola feconda e matura è ‘imparare come ci chi-Ama Dio’, accettare e accogliere l’identità che Dio stesso ci dona.
Quel mutismo di Zaccaria diventa allora emblema del silenzio e del deserto che dovremmo imparare a vivere tutti dinanzi al mistero della vita nostra e di ciascuno, perché spesso abusiamo di parole, sentenze e giudizi, e chiudiamo vite in definizioni limitanti. Quel nome nuovo, “Giovanni”, non rispettava la tradizione familiare e gli usi del tempo, né i criteri della genealogia, ma… l’obbedienza a Dio (!) che vale più di tutto questo e apre alla vita. Per sbloccarsi spesso occorre chiedersi “Signore cosa vuoi che io faccia?”, “Signore qual è la tua volontà?”. E poi… obbedire! Lo stesso Gesù, dirà “la tua volontà sia fatta e non la mia”, ad indicare lo spazio del Padre in Lui. Quando chiudi l’orecchio a Dio e fai finta di non udire la sua voce, la vita si ferma e non sai più dare un nome alle cose che ti capitano; quando invece sei in comunione con Dio, scopri che ogni cosa davvero concorre al bene, di ogni cosa vedi la luce e l’aspetto che può farti crescere. Quando smetti di ascoltare (e ricordiamoci che nella lettera ai Romani ci viene detto che “la fede nasce dall’ascolto”), quando smetti di metterti in ascolto, non hai più niente da dire: perché in realtà il mondo là fuori e il mondo a te prossimo, quello di chi ami e ti sta accanto, ha bisogno di una Promessa di speranza, di una Promessa di eternità… di una Parola di vita che solo Dio può dire e mantenere. Se le tue parole di cristiano non contengono un po’ quelle di Cristo, dopo un po’ diventeranno aride e vecchie, sterili e mute…
Zaccaria il cui nome significa “ricordare”, non si deve mai dimenticare che “nessuno si fa un nome da sé”, proprio come nessuno si genera da sé, e che al centro di ogni vita ci deve essere il Signore vivente! La vita di un figlio non va semplicemente legata attraverso un cognome a quella del padre terreno, ma va unita e consegnata a quella del Padre del Cielo: va posta nelle mani di Dio. Il genitore è solo l’arco che scocca la freccia per farla volare lontano! (cfr. 1a lett.).
L’eucaristia che è ‘zaccaron’ - ‘memoriale’ di quanto ci ama Dio, ci apra alle grandi Promesse del Padre… e ci doni la forza per obbedire e fare la nostra parte nel compiere quanto ci viene chiesto.