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I “CONTI” CHE NON TORNANO… - S.S. TRINITÀ (Anno B)

Oggi il Signore ha fissato un appuntamento ai discepoli, in alto, sul Monte… Non è un caso l’aver scelto questo luogo per celebrare: la stanza del piano superiore, che ricorda quel cenacolo di Gerusalemme, dove venne istituita l’eucaristia, dove i discepoli ricevettero lo Spirito Santo… Sul Monte, in alto, Dio dice cose importanti che servono per vivere il nostro “in basso”… perché sia fatta la sua volontà “come in cielo così in terra”… dimensioni mai dissociate (che sono la postura, il movimento che ci ha insegnato la festa dell’Ascensione!). E oggi a quei discepoli, viene dato un compito: “Andate e battezzate”. Gesù non manda i discepoli a diffondere un rito religioso, ad insegnare una dottrina liturgica o un dogma della Chiesa, ma desidera che ogni creatura sia “immersa” - questo il significato della parola “battesimo” - “nel nome di”; cioè che ogni creatura sia inzuppata, avvolta, dalla presenza della trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo… che ogni creatura sia circondata da buoni amici, che sia impregnata della relazione con Padre, Figlio e Spirito Santo… La salvezza sta qui: nella Relazione! Potremmo dire Trinità festa della relazione: perché non ci si salva da soli, non c’è felicità piena da solo. Fin dall’inizio viene detto ad Adamo: “Non è bene che l’uomo sia da solo”! Da un punto di vista antropologico… comprendiamo bene e possiamo attestare tutti che il legame-buono è salvifico … Quante volte, al contrario, dinanzi a giovani traviati diamo la colpa all’influenza negativa di una compagnia, ad una relazione malata… Ma al contrario, esiste una influenza nel bene! Ecco chi vive di fraternità deve avere molto chiaro questo! Un immergere la nostra realtà nella realtà di Dio perché niente rimanga fuori, niente sia escluso, perché non c’è nulla di meno degno… Occorre immergere tutto di noi perché siamo plurali, come la trinità, ma non divisi, come la Trinità, che è una cosa sola! Dio oggi ci rivela di non bastare a se stesso… ha bisogno del Figlio e dello Spirito, e così reciprocamente l’uno ha bisogno dell’altro, perché sono persone e non individui, non partono da se stessi e ritornano a loro stessi, ma partono sempre dall’altro… Gesù prima di fare il grande miracolo di Lazzaro dice: “io so che sempre il Padre mi ascolta”… e il Padre: “Ecco il mio figlio amato in cui ho posto tutta la mia fiducia”… e ancora “nessuno può venire al Padre se non per mezzo del figlio” e nessuno può dire il Figlio, “Gesù è il Signore, se non sotto l’azione dello Spirito”. Uno il bisogno dell’altro, come in una danza a tre! E ancora di più: oggi la liturgia ti ricorda che la trinità ha bisogno anche di te, ha bisogno di noi per una missione particolare: DISCEPOLARE. Fare cioè entrare ogni creatura in questo amore trinitario, in questo simpatico apprendistato della vita piena e felice, ma non tanto a parole, ma con la vita: che passa da come ci amiamo e ci trattiamo. Entrate e fate entrare nella vita di Dio, La storia trinitaria è il racconto della comunione che si impara dalla e nella comunicazione, nella relazione! La trinità ci invita ad abbandonare l’idea della perfezione come autosufficienza, auto-referenzialità… quello della Trinità è racconto di un potere - così diceva il vangelo - che ha come centro rendere gli altri “potenti” non se stessi! … E questo perché eredi e co-eredi di Cristo. Quello che è suo è tuo! Quello che ha vissuto Lui sei chiamato a viverlo tu! In quella promessa: “Io sono con voi tutti i giorni”… “Non vi lascio orfani”… e se porterete avanti l’amore

che avete imparato da me, io sarò sempre con voi perché attraverso ognuno di voi rivivrà l’immagine del Figlio, la misericordia del Padre, la forza dello Spirito.

Come sarebbe bello dire anche noi, come in apertura di lettura: “Non è mai successo che qualcuno abbia avuto un Dio così… così vicino come abbiamo noi”, che ci è venuti a cercare e ci ha resi familiari di Dio e fratelli fra noi! Ma oggi forse ne siamo troppo abituati! E per questo siamo invitati a ritornare al prodigio e allo stupore di Mosè nel roveto, dove Mosé ci fa intendere che quando la voce è quella di Dio, gli occhi si devono chiudere e le ginocchia piegare… “Mosé cadde in ginocchio”… e solo accettando il cammino propostogli, conoscerà il non visto di Dio; non è: “prima vedo, capisco e poi mi piego”… ma piegandomi e cioè arrendendomi, seguendo quella voce, forse ci capirò qualcosa in più… I discepoli oggi lo vedono, ma dice il testo: “dubitavano”… Il nostro San Francesco dirà che non basta vedere, ma occorre “vedere e credere”, cioè udire la voce di Cristo oltre l’ostia del pane… chiediamo proprio questo in questa eucaristia… per diventare testimoni, che è un’esigenza della fede… E’ necessario infatti che qualcuno sia la concretezza della voce del Dio Trinità, attraverso un cammino vivibile da tutti! E quel qualcuno oggi siete/siamo noi. Questo è l’invito a fare bene il vostro cammino, l’invito a camminare verso la santità che ci ha fatto papa Francesco recentemente, questa la sfida che vogliamo cogliere noi, perché se il sale perde di sapore con che cosa lo si renderà salato, e voi fratelli carissimi siete sale, chiamati ad esserlo davvero!


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