DISOBBEDIRE ALLA DISOBBEDIENZA - XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
La relazione con il Padre è quel luogo imprescindibile, che ha il sapore delle cose più belle e profonde, ma anche di quelle più dolorose. Quando non si vede e non si capisce la relazione con il Padre, e potremmo estendere, con gli affetti genitoriali, con quelli dell’infanzia, con chi mi “ha iniziato” alla vita spesso non ci si riconosce per un po’… La scienza moderna, la psicologia, ce lo confermano… le nostre storie ce lo attestano, ancor prima di scomodare Sofocle con l’Edipo re e le riletture di Freud o Recalcati… La Bibbia da sempre ce lo ricorda consegnandocelo come comandamento, come istruzione per il cammino: Vuoi avere una vita felice dai lunghi giorni? Onora Padre e Madre! (cfr. Dt 5,16). Da lì non si scappa… Ecco perché sempre questa associazione tra Dio e il Padre. Il padre, la madre dicono l’origine, e insegnano la lezione “madre” che io non mi sono fatto da solo! Dicono che c’è un oltre me; sono i primi con i quali si deve confrontare e scontrare il mio IO, il mio carattere, i miei desideri… insomma il Padre è simbolo della realtà da cui occorre partire e tornare per costruire la vita.
E nella storia di famiglia del Vangelo di oggi troviamo un padre e due figli. Di questi due, chi aveva davvero voglia di andare a lavorare nella vigna del padre? In realtà, nessuno dei due! Uno ha avuto il coraggio di dirlo, l’altro no e poi le prospettive si invertono. Quante volte la nostra vita è attraversata dalla distanza tra le parole e i fatti, Gesù stesso aveva detto citando il profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me” (Mt 15,8). E quante volte siamo abitati da dagli estremi: da una parte la protesta, la ribellione, dall’altra il compiacimento e magari quasi un servilismo ossequioso. Ma spesso né uno né l’altro sono comportamenti autentici. Certo non esiste il figlio ideale e perfetto, ma questa distanza può diventare lo spazio cronico dell’in-autenticità e falsità oppure lo spazio quotidiano per il pentimento. Il Vangelo ci dice che questa è la via da percorrere per ritrovare se stessi! Perché se il peccatore si converte “dalla malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso” (Ez 18,27). Quel figlio, “si convertì” e quel padre ha smesso per lui di essere solo un padrone da servire!
Essere sinceri con noi stessi è giusto, è corretto dirsi le proprie voglie e non voglie, ma solo l’obbedienza alla propria origine e alla propria chiamata, in una parola, noi potremmo dire, obbedienza a Dio e alla nostra storia, solo questa può portare all’autenticità, alla vita piena, a sbocciare, a portare frutti e quindi portare salvezza.
In questa parabola al di là delle ‘reazioni’ immediate, le ‘azioni’ hanno invertito le situazioni… come a dire che occorre imparare a disobbedire alla propria disobbedienza per obbedire al Signore e alla voglia che lui ha di incontrarci e innalzarci. Quando si ama davvero questa obbedienza non pesa!
E’ un richiamo forte, questo, nell’epoca del “va’ dove ti porta il cuore…”… qui si mette a tema un altro ritornello “vai dove ti vuole il Padre”… perché questo Padre Nostro che è nei cieli vuole il meglio per te… perché la vigna dove ti manda a lavorare è roba tua, è tua eredità!
Oggi viviamo troppo condizionati dal nostro modo di sentire… E anche quando la persona si fa più adulta e matura viviamo in noi come una scissione. Ricorderemo tutti Paolo quando afferma “non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio…” (Cfr. Rm 7,15.19 ), e sarà lo stesso Gesù a parlarci di due volontà: “ma la tua volontà sia fatta e non la mia”… che nel concreto lo ha portato ad essere “obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.
I Vangeli attestano che non ci può essere gioia se non viene attraversata e riconciliata questa ambivalenza. Se il Padre è unico, ci sono tanti modi di essere figlio! In un attimo possiamo perdere la via, in un attimo trovarla!!! Gesù propone come via anzitutto Sé stesso, e poi, come conseguenza, chi vorrà essere suo discepolo dovrà uscire sia dalla condizione di “gran sacerdote” che “non sbaglia mai”, sia dalla condizione di “prostituta o di pubblicano” che “sbaglia sempre”. In questo brano Gesù non elogia meretrice e pubblicano in quanto tali, ma perché per primi sono capaci di uscire dalla loro gabbia, mentre gli altri, convinti del loro essere nel giusto, continuano a restarci dentro.
Portiamoci a casa in questa domenica la consapevolezza che Dio ha sempre fiducia nell’uomo, nei peccatori pubblici e anche in noi, nonostante i nostri errori e ritardi nel dire sì. Il Signore ci renda Discepoli-Figli nei frutti e nei fatti e ci liberi dalla schiavitù delle parole false dei Discepoli-servi e schiavi!