STARE NELLA VITA - II Tempo Ordinario (Anno A)
Abbiamo sentito nella Prima Lettura: "È troppo poco che tu sia mio servo"... Il servo è colui che esegue gli ordini, il servo è spesso una forma più edulcorata per dire "lo schiavo", e spesso il servo non obbedisce per amore, per convinzione, ma è un esecutore per timore, per necessità, per paura...
Questo servo sofferente a cui fa riferimento il profeta Isaia è invece un portatore di luce e salvezza fino agli estremi confini della terra, allora lo stile deve cambiare, perché essere servo "è troppo poco"! Come è troppo poco partecipare al mistero di Dio, ai sacramenti, all'eucaristia per il precetto o per tradizione, partecipare a qualche iniziativa per senso del dovere o per abitudine...
Per essere strumenti di salvezza occorre crederci davvero ed essere imbevuti, o per utilizzare un'immagine che richiama il battesimo di Gesù da poco celebrato, immersi, fino all'estremità di noi stessi, totalmente, in quella parola di salvezza, avvolti in quella grazia messaci a disposizione.
Non si tratta di una immersione in semplice acqua, un liquido esterno, ma in una luce, nello spirito di Dio che progressivamente ti porta ad amare, ad essere diverso... a non essere "servo" ma "figlio" nella luce... capace di amare come Lui ha amato, come Lui mi sta amando.
E nel Vangelo compaiono due immagini: l'agnello e la colomba. Icone insolite per dire Dio, ad indicare una grande rivoluzione: non più il Dio che chiede il sacrificio di qualcuno o di qualcosa, ma un Dio che sacrifica se stesso.
E sarà questo il senso di quando il Vangelo citerà: le pecore, la chioccia, il pastore, un bambino... immagini che non vogliono conquistare il cuore con il potere, la paura, come può fare il padrone con il suo schiavo; il Signore è stanco di un Dio che ottiene obbedienza per la paura del fuoco dell'inferno o per le punizioni... ma cerca una relazione autentica, filiale, fraterna... per questo non si vergogna - dirà la lettera agli Ebrei, citando un salmo - di chiamarci fratelli, non teme di prendere su di sé la fragilità umana... Eppure nonostante questa fragilità, non è debole il nostro Signore, è potente il nostro Dio: tanto potente da essere il solo a poter trattare la materia del peccato. Egli è l'agnello che - la traduzione corretta dice - porta su di sé il peccato del mondo! È l'unico che può liberare dal peccato e donare perdono e salvezza. L'obiezione che rivolgeranno a Gesù, sarà proprio: "Chi può perdonare il peccato se non Dio solo?!?!" Appunto...
E queste immagini allora ci suggeriscono che si deve stare nella vita, come una colomba e un agnello che non usano la violenza e la forza come loro arma, ma si comportano e vincono il nemico come la luce che splende nelle tenebre e le mette in fuga...
Giovanni vede in Gesù tutto questo: quell'agnello che rimanda a quando il popolo di Israele prima di lasciare l'Egitto segnò col sangue gli stipiti delle porte, in modo che l'angelo sterminatore, passasse oltre. Non servono altri sacrifici, Gesù è il nuovo agnello che salva e riconcilia l'umanità con Dio.
E i discepoli, dirà l'Apocalisse, sono coloro che si mettono a seguire questo agnello... L'agnello diventa cioè il nostro pastore... E seguirlo vuol dire stare nella vita come lui stava nella vita, stare nella comunità come lui stava con i fratelli e amare ciò che lui amava e rispondere al male con la sua stessa forza.
E questo non è scontato!! Giovanni, il primo testimone, l'uomo chiamato da Gesù stesso "Il più grande tra i figli di donna" dice: "Io non conoscevo"... Un po' come a dire: io non lo conoscevo così, io non l'ho capito fino in fondo... Io credevo in un Dio rappresentato dall'immagine dell'ascia che è alla base degli alberi da tagliare alla radice... ma deve ricredersi...
Anche Giobbe, l'uomo pio e fedele, retto ed integro, arriverà a dire a Dio: "Prima ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono": e arriva a questo, quando riuscirò a fare un incontro al di là delle parole, della tradizione, dei precetti, dei riti, degli schemi e dei pregiudizi... ne fa un'esperienza viva che tocca la sua vita, comprendendo la sua sofferenza, le sue lacrime, il suo oggi. Gli dà accesso proprio nel suo niente, nella sua confusione, nel suo dubbio, nella sua durezza... Chiediamo per questo nuovo anno di poter crescere nell'esperienza del mistero di Dio, fino a vedere il suo volto, a cantare un canto nuovo, quello scritto con le note della vita, con gli accenti e sfumature del nostro oggi.
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